Loredana Baldinucci è nata in Umbria, ma vive e lavora a Milano. È traduttrice e editor di libri per ragazzi, ed è stata tra i soci fondatori de Il Nuovo Traduttore Letterario.
Come editor, si occupa di narrativa italiana e straniera per Editrice Il Castoro. Fra le sue traduzioni le serie di Percy Jackson e Magnus Chase, di Rick Riordan (con Laura Melosi), Kill All Enemies, di Melvin Burgess, Il tesoro dei Marvel, di Brian Selznick, La ragazza degli orsi e Il castello incantato di Olia, di Sophie Anderson (Rizzoli).
Come autrice, ha pubblicato l’albo Sei mai stato un babbuino? e la prima lettura Gatta Micia (Il Castoro).
Si dice che la letteratura per ragazzi sia il motore trainante dell’editoria italiana, in particolare nel post pandemia. È veramente così, e in caso affermativo, quali pensi siano le ragioni?
Sì, il settore ragazzi è quello che in questi anni ha dimostrato di tenere di più nei momenti di crisi. L’acquisto di un libro è una spesa mediamente sostenibile per una famiglia (sottolineo mediamente, non è così per tutti e ovunque); per gli adulti è un modo di investire nella formazione dei ragazzi, e la lettura viene vista come una competenza da sviluppare anche in funzione della scuola, che a sua volta la incoraggia e può determinare il successo di un libro. In più, i ragazzi sono lettori appassionati e fedeli se incontrano il libro che fa per loro, e a volte innescano un passaparola tra pari, sempre più spesso sui social. Quando succede, creano bestseller.
Quali sono gli ingredienti di successo di un albo illustrato? E di un libro per young adults?
Hai preso i due estremi anagrafici! E potremmo parlarne per ore.
Al momento hanno buone possibilità di vendita gli albi che aiutano gli adulti ad affrontare un problema che vivono con i bambini: “mio figlio non dorme”; “vorrei aiutarlo a gestire meglio la rabbia / la noia…”; “litiga sempre con il fratellino” ecc. Però c’è anche molto altro, ed entrano in gioco tanti fattori. Per citarne alcuni: una storia riuscita, la qualità delle illustrazioni, l’originalità, il puro divertimento, l’efficacia nella lettura ad alta voce, una voce capace di rivolgersi ai bambini senza condiscendenza. I romanzi YA: al momento il mercato sembra premiare storie emotivamente molto coinvolgenti, con una tendenza al romance. Se facciamo un discorso di qualità, direi che anche in questo caso una voce autentica è fondamentale: i ragazzi vivono nella realtà e la conoscono; se sentono odore di ipocrisia adulta scappano a gambe levate.
Credi che ci sia uno spazio nel settore editoriale per la poesia e la filosofia rivolta ai ragazzi?
Sì, certo. Penso ad autrici come Chiara Carminati e Silvia Vecchini, per fare due esempi; si pubblicano raccolte di poesie, e la poesia entra nella narrativa (come nel romanzo “Mille briciole di luce”, di Silvia Vecchini, pubblicato da Il Castoro). Negli Stati Uniti negli ultimi anni i romanzi per ragazzi in versi sono stati una tendenza importante (un esempio è “Brown Girl Dreaming”, di Jacqueline Woodson, portato in Italia da Fandango). Gli albi illustrati poi sono spesso un primo incontro dei bambini con la poesia e con la lingua poetica. In ogni caso, la qualità deve essere alta. Quanto alla filosofia, credo che nei migliori esempi di letteratura per ragazzi, dagli albi fino ai romanzi YA, le “grandi domande” siano di casa, senza per questo diventarne l’intento dichiarato, perché fanno parte dell’esperienza umana, e di questo parlano le buone storie. Se invece intendi libri di divulgazione sulla filosofia in senso stretto (i grandi pensatori ecc.), credo che sia una strada più difficile da percorrere, ma non per questo impossibile: ci sono editori che se ne occupano.
Tu nasci come traduttrice, alla luce della tua esperienza, tradurre testi per l’infanzia e per i giovanissimi, richiede particolari doti e/o competenze?
Credo che un interesse autentico per la letteratura per ragazzi e un’affinità con i ragazzi aiutino: mi sono sempre genuinamente divertita nel tradurre per loro, mi sento complice dell’autore e dei lettori. E se tu per prima ti diverti e ti appassioni, credo che si senta. Per il resto, credo che si impari e si migliori molto con l’esperienza.
Quali sono le maggiori difficoltà e le sfide che pongono testi di questo genere?
La prima difficoltà credo sia il registro: molto spesso ci sono romanzi narrati in prima persona, e se il narratore in questione ha dodici anni, deve avere una voce credibile. La stessa cosa vale per i dialoghi. Capita poi abbastanza spesso di incontrare giochi di parole, rime, nomi parlanti, enigmi costruiti sulla lingua: possono rappresentare una sfida.
Nel caso degli albi, una bella lezione di traduzione, e prima ancora di scrittura, l’ho avuta da Bruno Tognolini, quando ha tradotto per Il Castoro l’albo “Ciao Cielo” (“Blue on Blue”, di Dianne White e Beth Krommes). Il suo approccio: “usare parole assolutamente quotidiane, solo bendisposte”. Qui trovate il suo racconto di questa esperienza: https://www.tognolini.online/ciaociel.html Nella traduzione degli albi, tutt’altro che semplice, ogni parola conta, e conta la sua relazione con le immagini. Una bella sfida.
Pensi che nella traduzione per l’infanzia, il traduttore abbia una maggiore libertà rispetto al testo sorgente e quindi la possibilità di essere più creativo?
La letteratura per ragazzi ha le sue specificità, ma è letteratura: le riflessioni sulla libertà rispetto al testo sorgente in linea di massima sono analoghe a quelle che ci faremmo nel caso di testi letterari rivolti a un pubblico adulto, e su che cosa sia una traduzione fedele si possono versare fiumi di inchiostro. In generale, credo prevalga un approccio comunicativo, che mette al primo posto il lettore e la godibilità del testo tradotto: se una battuta di dialogo fa ridere nel testo sorgente, deve avere lo stesso effetto nel testo di arrivo, anche a costo di una maggiore distanza, e qui la creatività del traduttore entra in gioco (ma non la considero una questione di libertà: si tratta di essere fedeli all’intento comunicativo del testo, che in questo caso è suscitare una risata). La letteratura per ragazzi però è solo una parte dell’editoria per ragazzi, che come l’editoria per adulti è molto ampia e pubblica di tutto, fra cui buoni libri di intrattenimento, scritti con mestiere, ma senza particolari aspirazioni letterarie. E in questi casi, se necessario, può esserci più libertà, ma è qualcosa che si avvicina di più all’editing che alla traduzione. Un esempio tipico: l’italiano ha una minore tolleranza per le ripetizioni e i cliché rispetto all’inglese. Esagerando: se in una pagina un personaggio “alza gli occhi al cielo” tre volte e non sa mai dire no senza prima “scuotere la testa”, in traduzione o in revisione si cerca di evitare.
Hai un aneddoto divertente riguardo a una traduzione in cui ti sei imbattuta come redattrice?
Quando la bravissima Simona Brogli ha tradotto per noi la trilogia di Andrew Fukuda “THE HUNT”, ricordo lo shock nello scoprire quasi alla fine del terzo volume l’esistenza di un acronimo dal significato fondamentale ai fini della trama, presente fin dal primo volume, ma svelato come tale solo alla fine della trilogia. Se l’è cavata alla grande e ci ridiamo ancora, ma è un momento di panico che non si dimentica!
Una domanda, più personale, recentemente anche tu hai pubblicato come autrice, è stato un passaggio naturale, un desiderio che hai sempre avuto, o è qualcosa venuta per caso? Come si diventa autori di libri per l’infanzia?
Amo le parole da sempre, e la passione e le energie che ho riversato prima nella traduzione e poi nel mio lavoro di editor nascono da lì. Anche la spinta a scrivere nasce dalla stessa fonte, e saltuariamente negli anni mi sono ritrovata a farlo, anche solo come risorsa personale. Scrivere per pubblicare però è altro, e in realtà ho pubblicato pochissimo, anche se con gioia. Per me è stato naturale farlo per bambini, ma fatico a considerarmi un’autrice a tutti gli effetti, soprattutto se penso agli autori e alle autrici con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Mi prendo cura volentieri dei libri degli altri. Come si diventa autori per l’infanzia? Ognuno ha la sua storia, difficile rispondere. Da editor però ti rispondo che, al di là della spinta personalissima o del talento iniziali, la scrittura è un mestiere, che richiede dedizione e impegno; ha le sue tecniche, i suoi ferri; va coltivato con costanza. E come con la traduzione e con l’editing, si impara e si migliora strada facendo.