Una chiacchierata con Hakam, traduttore italiano>arabo e responsabile del progetto di traduzione “Il Mappamondo di Fra Mauro”
Quest’anno abbiamo collaborato a uno straordinario progetto di divulgazione scientifica. Il Museo di Storia della Scienza “Galileo” di Firenze ha da poco messo on-line la mostra virtuale del “Mappamondo di Fra’ Mauro”. Si tratta di una delle più straordinarie raccolte delle conoscenze geografiche e cartografiche antecedenti la scoperta dell’America. Contiene una minuziosa ricostruzione della Terra e un totale di 3000 cartigli di testo, con toponimi e descrizioni di città e territori. Il nostro collega Hakam è stato responsabile della versione in arabo del museo virtuale. Ha tradotto o editato personalmente tutti i testi, scritti in veneziano del Quattrocento e già tradotti in italiano e inglese. Qui trovate le pagine tradotte https://mostre.museogalileo.it/framauro/ar/
Hakam, da molti anni sei il nostro traduttore di riferimento nella combinazione italiano-arabo, soprattutto per quel che riguarda i testi editoriali. Quali sono le sfide maggiori del tradurre in questa combinazione linguistica?
Tradurre dall’italiano all’arabo presenta diverse sfide legate alle diversità culturali, oltre a quelle linguistiche e strutturali. Alcuni concetti o espressioni italiane possono non avere equivalente diretto in arabo e richiedono al traduttore di trovare soluzioni creative per mantenere il significato originale. L’arabo ha un vocabolario fortemente influenzato dalla cultura islamica e dalla tradizione storica del mondo arabo, il che rende alcuni concetti difficilmente traducibili in italiano e viceversa. Termini legati alla vita quotidiana, al cibo, alle festività religiose o ai contesti culturali, possono risultare estranei a un pubblico arabo e richiedere spiegazioni o adattamenti particolari. Inoltre, i temi legati alla religione, alla sessualità o a pratiche sociali possono essere trattati in modo molto diverso nelle due culture. Un traduttore deve essere consapevole dei tabù culturali e delle sensibilità religiose nel contesto arabo, evitando termini o riferimenti che potrebbero essere considerati offensivi o inappropriati.
Immagino che questo progetto di traduzione abbia posto problemi molto specifici. Che significa tradurre in arabo dei testi del Quattrocento sulle conoscenze geografiche del tempo, e quali sono le difficoltà che pone?
In effetti le difficoltà, in questo caso, erano tante. Di carattere stilistico, nella ricerca di un linguaggio che sia al contempo ben comprensibile, ma esprima anche il fascino del passato e la meraviglia della scoperta. Poi di carattere terminologico, perché il testo contiene termini legati alle conoscenze strumentali del periodo. Quando si traduce un testo di questo genere, è indispensabile fare riferimento alle scelte lessicali fatte dai traduttori e dagli scrittori arabi che hanno prodotto materiale sullo stesso argomento. Ma ovviamente può capitare che alcuni abbiano fatto scelte arbitrarie, inserendo nell’uso termini scientificamente non corretti. A volte ci si può trovare davanti alla scelta tra l’adeguarsi a un uso piuttosto diffuso e il sottrarsene, introducendo nell’uso un termine magari poco noto. Bisogna insomma essere in grado di valutare le proprie fonti per valutarle o respingerle. In ogni caso, è necessario un lungo lavoro di ricerca lessicale. Questa, ovviamente, è una sfida di tutti i traduttori, perché bisogna trovare un equilibrio accettabile tra la traduzione e la ricerca. Il traduttore non può improvvisarsi un ricercatore specialistico ma allo stesso tempo deve assicurare al suo testo una precisione lessicale adeguata.
Immagino che questo problema riguardi anche i toponimi. Nel testo, molte regioni e aree geografiche hanno nomi storici, che contribuiscono a trasferire il lettore in un tempo lontano, in cui il mondo era ancora per certi aspetti un enigma da decifrare. È stato possibile ricreare lo stesso effetto in arabo?
Mi auguro di essere riuscito in questo scopo, e in effetti anche qui c’è stato un lungo lavoro per verificare la corrispondenza di nomi geografici antichi in italiano con i corrispondenti in arabo. E si è trattato però anche di fare delle scelte di “normalizzazione”: perché a volte i corrispondenti nomi in arabo erano praticamente incomprensibili, e quindi si è fatto la scelta di attualizzarli, per non rendere la lettura troppo pesante e destinata a un pubblico di specialisti – mentre chiaramente, l’intenzione di questo progetto era quello di rendere il testo fruibile a un vasto pubblico di lettori.
Riprendo il tema a cui hai accennato prima, cioè il rapporto tra cultura e religione. Questo rapporto è fortissimo in un autore come Fra Mauro, che è un religioso, ma è anche immerso in una cultura profondamente intessuta di cristianesimo, e guarda al mondo con questo bagaglio culturale. Che conseguenze ha avuto, questo fatto, sulla traduzione in arabo?
Devo dire che sono rimasto molto sorpreso da Fra Mauro. Al di là della cornice religiosa, in verità il suo lavoro ha un carattere molto concreto e “scientifico”. Parte sempre dall’osservazione, dalla descrizione dei dati materiali, dai fatti concreti. Ed è ancora più interessante perché non li ha vissuti in prima persona ma ha fatto un enorme lavoro di raccolta dei materiali del tempo. Quindi, in verità, si può apprezzare la volontà di conoscenza oggettiva, lo spirito di indagine che anima questa grande produzione. Del resto Mauro era un religioso, ma visse lungamente allo stato laicale. La sua opera mi fa venire in mente il lavoro del celebre viaggiatore islamico Ibn Batuta del XIV secolo, che riportava le sue esplorazioni in chiave scientifica e marcatamente materiale, non mistica o religiosa. Fu autore di molti scritti, tra cui il bellissimo I viaggi, conosciuto anche come Rihla, il cui titolo formale suona Capolavoro di coloro che contemplano le meraviglie delle città e le meraviglie del viaggio (in arabo تحفة النظار في غرائب الأمصار وعجائب الأسفار ) e a cui affida il resoconto delle sue esplorazioni. È un testo che mi ha fornito degli spunti utili per interpretare al meglio il testo del Mappamondo.
Per la mia esperienza di project manager, è difficile trovare traduttori arabi che siano in grado di tradurre questo tipo di testi. Perché? È necessario, secondo te, una formazione letteraria o storica? Che tipo di conoscenza della lingua italiana si presuppone?
In effetti non è facile, la maggior parte dei traduttori arabi è impegnata nel campo della traduzione tecnica o informativa che è una realtà molto diversa. Anche il traduttore editoriale finisce per affidarsi alle stesse risorse, che non sono tantissime, come il dizionario italiano-arabo di Simon&Schust, o ricorre al passaggio attraverso l’inglese, per esempio con il dizionario inglese-arabo Almaany. Tuttavia quello che è indispensabile in questo caso è una conoscenza strutturata e approfondita della cultura italiana e occidentale, che alla fine è spesso il frutto di un impegno e di un interesse individuale. A volte si parte da un profilo professionale più orientato alla traduzione tecnica, e ci si specializza, via via, in un settore di interesse. Ma la mancanza di progetti di lungo respiro si riflette anche sulle risorse umane disponibili. Per questo, molto spesso i traduttori in grado di affrontare questi progetti possono essere studiosi o accademici, o venire dal mondo della ricerca nel campo delle scienze umane.
Sei il nostro traduttore arabo di riferimento da molti anni e svolgi anche revisione ed editing dei testi. Anche la fase finale della di verifica e prooreading è molto importante per la buona riuscita di un progetto.
Nel servizio che un buon traduttore offre questo aspetto non va sottovalutato. È essenziale che i grafici usino i software di impaginazione giusti e impostati sull’arabo, ma in ogni caso, prima di pubblicare il lavoro, il giro di bozze è indispensabile e spesso richiede più tempo e più lavoro che nel caso delle altre lingue. Ma in tutti i progetti gestiti da NTL, il traduttore e il revisore forniscono assistenza diretta fino alla fase della stampa.